lunedì 27 giugno 2016

I FATTORI DI PROTEZIONE



Il prodotto solare più adeguato alle proprie esigenze deve soddisfare diversi criteri oggettivi e soggettivi. Dal punto di vista cosmetologico, dev'essere:
in grado di proteggere da tutte le radiazioni ultraviolette (UVB, UVA corti e UVA lunghi);
fotostabile (cioè non modificarsi con la luce);
sicuro, non tossico e non sensibilizzante;
resistente all'acqua (o "molto resistente all'acqua") e al sudore;
di facile applicazione e gradevole sulla pelle.

Per le attività svolte all'esterno, per lunghi periodi di tempo (4 o più ore di esposizione al sole), scegliere una protezione solare che offra un fattore di protezione solare (SPF) pari a 30 o superiore.
Generalmente, il numero SPF indica solo l'efficacia di una protezione solare contro i raggi UVB (quindi contro le scottature solari). Per difendere la pelle sia dai raggi UVB che UVA (che causano invecchiamento precoce della pelle), cercare una protezione solare che possa fornire protezione UV ad ampio spettro (UVA/UVB, queste indicazioni sono spesso presenti in etichetta o sulla confezione del prodotto solare).
La maggior parte degli adulti dovrebbe indicativamente utilizzare, per la copertura di tutto il corpo, circa 35 ml di crema solare (quantità pari ad un bicchierino da liquore, per ogni applicazione). Applicare uno strato troppo sottile di prodotto potrebbe ridurre la capacità del filtro solare di assorbire o riflettere la luce UV. Prestare particolare attenzione alle zone sensibili come il naso, le orecchie e i piedi. La protezione solare dovrebbe essere distribuita sulla pelle asciutta 30 minuti prima dell'esposizione. Riapplicare la stessa quantità di crema solare ogni 2 ore.
Quando un prodotto viene presentato come resistente all'acqua significa che è in grado di mantenere la sua capacità protettiva nel tempo. Si consiglia di ripetere comunque l'applicazione del prodotto dopoun contatto prolungato con acqua, sudore o varie superfici (asciugamani, vegetazione o sabbia).
Il cielo coperto richiede comunque protezione solare, poichè la luce UV (in particolare UVA) è in grado di penetrare attraverso le nubi. I raggi solari possono anche attraversare il vetro. Di conseguenza, la pelle potrebbe essere esposta a rischio di invecchiamento anche per l'azione della luce del sole proveniente da una finestra. Per queste ragioni, alcune persone includono la protezione solare nella loro routine cosmetica quotidiana.
L'ombra e gli indumenti protettivi (copricapo a tesa larga, camicie a maniche lunghe ecc.) sono altri metodi per schermare la pelle dai raggi UV. Molti sostengono che la prima linea di difesa per la pelle consista nell'indossare indumenti realizzati con tessuti a protezione solare, con un fattore di protezione UV (la sigla è UPF, sono realizzati con un particolare trattamento per bloccare i raggi solari). Una semplice maglietta di cotone bianco offre un UPF tra 4 e 8, e se bagnata fornisce una protezione minore.

Nel tempo, il contatto con l'ambiente esterno può alterare i filtri solari contenuti nel prodotto, anche se fotostabili. La non corretta chiusura del flacone, l'infiltrazione di sabbia, ecc. possono modificare l'efficacia e le caratteristiche della protezione solare. Per questo è importante tenere in considerazione la data di scadenza o l'indice PAO riportati sul contenitore primario o in etichetta, e sostituire il prodotto solare al termine di tale periodo per evitare qualunque tipo di rischio per la pelle. L'indice PAO indica il periodo dopo l'apertura (in mesi, esempio: 6M) entro il quale il prodotto solare aperto (e i cosmetici, in generale) può essere utilizzato in tutta sicurezza.

Nella scelta del protettivo solare il primo dato da tenere presente è il fototipo: le persone con carnagione più chiara sono infatti le più sensibili all'azione dannosa delle radiazioni e devono optare in partenza per un fattore di protezione elevato. Altre condizioni che richiedono l'applicazione di una protezione maggiore sono la diversa latitudine e altitudine (più ci si avvicina all'equatore e più si sale rispetto al livello del mare), l'albedo (ad esempio la presenza di superfici riflettenti come mare, neve, sabbia, ecc.), la stagione (in estate i raggi solari sono più forti), l'orario in cui ci si espone e infine la durata dell'esposizione. E' inoltre molto importante tenere presente che la quantità di prodotto che si applica è sempre inferiore a quella utilizzata nei test per la determinazione del fattore di protezione; ciò può portare ad una diminuzione di circa il 30% del potere protettivo del prodotto (il valore riportato sulla confezione). E' dunque prudente partire con un indice più alto rispetto a quello calcolato in base alle variabili esposte sopra. Spesso ci si trova disorientati di fronte all'ampia scelta di prodotti e ai diversi fattori di protezione.



I raggi UVB sono i maggiori responsabili della comparsa di eritemi, scottature e orticaria. Nei prodotti solari la capacità di proteggere la pelle dalle radiazioni UVB è indicata dall'IP (indice di protezione) o SPF (sun protective factor), con una numerazione che varia da 0 a 50-60, un numero che fa riferimento al tempo di comparsa di eritema sulla pelle in seguito all'applicazione di un fotoprotettivo. In termini pratici, questo numero indica quante volte è possibile moltiplicare il tempo di permanenza al sole prima che la pelle si scotti. Spesso si trovano in commercio protettivi solari equivalenti ma che riportano differenti indici di protezione. Una recente direttiva dell'Unipro (Associazione Italiana Industrie Cosmetiche), alla quale le aziende produttrici dovranno adeguarsi entro la fine del 2005, ha però posto un po' di chiarezza classificando i fotoprotettori in 5 classi:
Protezione bassa: SPF/IP 2-6
Protezione moderata: SPF/IP 8-12
Protezione alta: SPF/IP 15-25
Protezione altissima: SPF/IP 30-50
Protezione ultra alta: SPF/IP 50+

Le radiazioni UVA per molto tempo sono state considerate inoffensive, ma in realtà si è scoperto che sono in grado di danneggiare le strutture di sostegno (collagene ed elastina) della pelle e, per questo, sono le principali responsabili dell'invecchiamento cutaneo (comparsa o accentuazione delle rughe). A differenza delle radiazioni UVB, non esiste una metodica standardizzata per il calcolo dell'indice di protezione nei confronti degli UVA: dal momento che gli UVA non sono in grado di provocare arrossamento cutaneo (parametro misurato nel calcolo del'SPF), è difficile stabilire l'efficacia protettiva del prodotto. Solitamente, per gli UVA viene fatto riferimento alla pigmentazione immediata e persistente in seguito all'esposizione a raggi UVA. A causa di questa carenza metodologica, la maggior parte dei protettivi solari non riporta un'indicazione della protezione nei confronti di questo tipo di radiazioni. Se il protettivo solare presenta un indice di protezione nei confronti dei raggi UVA, questo è indicato dalla sigla PPD o IPD: in genere comunque la protezione UVA è coerente con la protezione UVB (ad esempio SPF 20 - PPD 8/IPD 25, ovvero alta protezione UVB, alta protezione UVA).

Questo ha spinto i produttori a promuovere cosmetici solari con SPF sempre più alti, al punto che in USA dove era consentito, circolavano solari con SPF 150 o 200.
Ma anche i numeri possono ingannare ed il consumatore potrebbe restare “abbagliato” da numeri del SPF sempre più alti che non riflettono la corretta risposta alle sue esigenze.

Il numero, viene calcolato con procedure diverse in diversi paesi, ma in sostanza si riconduce alla quantità di raggi UV che vengono bloccati ed a quanto viene ritardato l’insorgere dell’eritema.
Semplificando gli UV che raggiungono la pelle sono uguali a 1/SPF di quelli irraggiati.
SPF 50 significa che solo un cinquantesimo degli UVB raggiunge la pelle (= 2% ).
SPF 20 significa che solo un ventesimo degli UVB raggiunge la pelle (= 5% ).
Oggi è richiesto che anche gli UVA vengano filtrati dal cosmetico solare per almeno un terzo della capacità filtrante degli UVB.
Quindi se un prodotto lascia arrivare alla pelle solo un 2% degli UVB, dovrebbe lasciar arrivare anche solo un 6% circa di UVA.
Per informare il consumatore di questa prestazione aggiuntiva in Europa è stato introdotto il simbolo a lato , che deve comparire in etichetta.
Il calcolo di quanti UVB vengono filtrati dal cosmetico si riconduce alla dose di ultravioletti che induce l’eritema sulla pelle.
Questo è il parametro che viene considerato nei test.
Erroneamente questo parametro viene tradotto dal consumatore e da qualche venditore di solari come
SPF= moltiplicatore del tempo che posso stare al sole prima che compaia l’eritema.
Semplificando si induce nel consumatore il ragionamento: se con un SPF=10 solo un decimo degli UVB raggiunge la pelle, il tempo che potrei restare esposto prima che compaia l’eritema è quindi 10 volte più lungo di quello senza alcuna protezione.

Inoltre non si tiene conto della stabilità e sostantività della protezione solare.
Insomma se è poco stabile e si rimuove facilmente un SPF50+ potrebbe necessitare di una riapplicazione ogni 30 minuti.

Con un solare che si applica male, che si rimuove facilmente e che magari non è neppure stabile, te lo sogni che puoi restare esposto, senza danni, 60 volte il tempo a cui ti esporresti senza protezione, anche se in etichetta c’è scritto SPF 50+.

Allo stesso modo non è così netta la differenza di protezione effettiva che possiamo avere tra un filtro solare che lascia passare solo il 3,3% di raggi UVB ed uno che ne lascia passare solo il 2%.

Non fatevi abbagliare dai numeri alti del SPF; alle dosi con cui viene normalmente applicato, non è affatto vero che con un SPF 30 il tempo prima che compaia l’eritema si allunghi di 30 volte.
La nuova tendenza ad utilizzare SPF SEMPRE PIU’ ALTI può indurre un eccessiva fiducia e confidenza nel consumatore: i prodotti devono essere applicati in quantità idonea e le applicazioni vanno ripetute nel tempo.
Se un prodotto SPF 30 ha una applicabilità o una tenuta superiore a quello a SPF 50, tra i due potrebbe essere preferibile utilizzare quello a SPF più basso, la scelta deve essere orientata più dalla classe della protezione ( bassa, media, alta, molto alta ) e dalla resistenza che dal semplice numero che rappresenta l’SPF.




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domenica 26 giugno 2016

LA VITILIGINE



La vitiligine o leucodermia è una malattia cronica della pelle non contagiosa, ad eziologia forse autoimmune, ma la sua origine è sconosciuta, anche se si sospetta sia ereditaria e genetica, caratterizzata dalla comparsa sulla cute, sui peli o sulle mucose, di chiazze non pigmentate, cioè zone dove manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta al pigmento, la melanina, contenuto nei melanociti. I melanociti, forse attaccati dagli anticorpi, resterebbero vitali, ma smetterebbero di produrre melanina.

Le chiazze sono generalmente diffuse su tutto il corpo spesso in modo simmetrico. Gli esordi della vitiligine interessano solitamente le zone del corpo intorno ad aperture (intorno a occhi, ano, glande e genitali) e alle unghie (sulle dita, partendo dalle estremità), e più in generale: viso, collo, mani, avambracci, inguine. In zone dove sono presenti cicatrici si possono formare nuove chiazze.

Le macchie hanno colore decisamente bianco, con margini ben delineati e piuttosto scuri, ma la pelle delle zone colpite a parte la modificazione cromatica è assolutamente normale, meno nelle zone ricoperte da peli, dove sovente se ne nota lo sbiancamento e la parziale caduta o il diradamento (peli della barba). A volte compare anche prurito. Non potendosi proteggere mediante abbronzatura le zone bianche sono facilmente soggette a eritema solare e scottature da esposizione, come la pelle di un neonato o di una persona con albinismo: se ne consiglia la protezione mediante copertura tessile (indumenti coprenti) e/o creme ad altissima protezione (fattore superiore a 40), se si trascorre molto tempo al sole. È completamente infondata la credenza che tale malattia sia contagiosa.

Ben più complessi possono essere invece i risvolti psicologici di chi è affetto di vitiligine, per il senso di isolamento e depressione che a volte segue la comparsa delle macchie. Ciò è tanto più vero quanto la persona affetta da vitiligine si sente diversa dalle altre o addirittura rifiutata, osservata per il problema estetico che le macchie generano. La cosa ha più probabilità di verificarsi quando le macchie sono poste in parti del corpo molto visibili (volto, collo, mani) e la persona è di carnagione scura; chi invece è già di carnagione molto chiara riesce a evitare di evidenziare le macchie con la semplice accortezza di non esporsi al sole e non abbronzandosi dove ancora ha pigmento.

L'origine è sconosciuta (anche se si sospettano fattori autoimmuni e/o predisposizione genetica), né sono noti fattori scatenanti o favorenti anche se è stata documentata un'incidenza maggiore tra componenti della stessa famiglia (la possibilità di contrarre la vitiligine per i famigliari di un paziente - 6 % - è più alta rispetto alla percentuale comune della popolazione mondiale di malati di vitiligine, l'1 %) e legata a fattori di stress (benché tale teoria non sia verificata) che danno il via alla manifestazione primaria della vitiligine o alla sua recrudescenza dopo periodi - anche lunghi - di stasi.

Testimonianza della possibile patogenesi autoimmunitaria è sicuramente la presenza, in circa 20 % di individui affetti, di altre patologie autoimmuni che però non incidono con il decorso della vitiligine; tra esse: gastrite cronica atrofica autoimmune, tiroidite di Hashimoto, ipertiroidismo e ipotiroidismo, psoriasi (l'associazione di vitiligine e psoriasi, quindi con rischio di artrite psoriasica, è più rara di altre comorbilità, ma è possibile specie nelle forme di origine famigliare-genetica), allergie, celiachia, lupus eritematoso sistemico, dermatiti, alopecia areata, anemia perniciosa, diabete mellito di tipo 1 (diabete giovanile), malattia di Addison, miastenia gravis, dermatite atopica, artrite reumatoide e sclerodermia, nonché la presenza di segni come l'eosinofilia.



Un'altra possibile causa o concausa, è nell'ossidamento precoce da radicali liberi dell'ossigeno, come avviene nel normale sbiancamento dei capelli, ossia tramite il perossido di idrogeno (usato in medicina come acqua ossigenata disinfettante) prodotto come scarto del metabolismo organico. Con l’invecchiamento il corpo non è più in grado di neutralizzare gli effetti di questa sostanza perché nelle cellule vecchie la tirosinasi, un enzima che separa il perossido di idrogeno nelle sue due componenti di base (acqua e idrogeno) è presente in minor concentrazione. Esso si accumula nel bulbo pilifero, bloccando la sintesi del pigmento colorante, cioè la melanina.

L’ossidazione provocata dal perossido di idrogeno non interferisce solo con la produzione di melanina, ma blocca anche altri enzimi necessari per riparare le proteine danneggiate. Il risultato è una reazione a catena, fra cui la graduale perdita di pigmentazione del capello, dalla radice alla punta. I pazienti affetti da vitiligine, oltre alla reazione autoimmune, potrebbero soffrire di disturbi metabolici o endocrini dovuti a mancanza di sufficiente tirosinasi, e lo sbiancamento causato o aumentato dal perossido, che ha effetti di questo tipo sulla pelle.

La diagnosi si effettua tramite esame obiettivo e strumentale, e diagnosi differenziale. Rinvenute le tipiche chiazze, è necessario il test tramite lampada di Wood, alla cui luce le chiazze di vitiligine emettono una caratteristica fluorescenza bianca.

Test laboratoristici per le patologie in comorbilità sono invece test di funzionalità tiroidea e pancreatica, nonché la ricerca di anticorpi anti-dsDNA, anti-ANA, anti-ENA, anti-muscolo liscio, anti-tireoglobulina, anti-gliadina, anti-mucosa gastrica.

I trattamenti sono sempre protratti per lunghi periodi, e possono variare a seconda del clima e delle stagioni. Vengono utilizzati con successo trattamenti, topici e non, che vanno ripetuti nel tempo, come l'uso di immunosoppressori come tacrolimus o gli steroidi, i quali tuttavia hanno una minore incidenza ed efficacia che nelle altre malattie autoimmuni. Alternativi sono l'uso di lampade UVA-UVB (fototerapia PUVA o "UVB a banda stretta", associata a sostanze fotosensibilizzanti come gli psoraleni; efficace ma temporanea), il trapianto autologo di melanociti sani (per chiazze poco estese), ecc.

Se le chiazze sono troppo estese, si può ricorrere allo sbiancamento artificiale delle parti pigmentate, per uniformare la pelle. Molti pazienti ricorrono al trucco.

Nessuno conosce esattamente il motivo per cui questo accade, ma sappiamo che colpisce persone di entrambi i sessi e di tutte le razze: solo negli Stati Uniti da 1 a 2 milioni di persone patiscono questa condizione e più della metà è rappresentata da bambini e da ragazzi.

I dermatologi classificano i tipi di vitiligine secondo la quantità e la posizione delle macule:

Localizzata: vitiligine focale quando ci sono solo pochi punti in una sola piccola zona.
vitiligine segmentale è caratterizzata da macchie solo su un lato del corpo e di solito non altrove, presente per esempio solo su una gamba o sul viso. Questo tipo di vitiligine è relativamente rara.
Generalizzata si presenta in molti punti in tutto il corpo, che tendono ad essere simmetrici (interessano cioè il lato destro e sinistro del corpo, come un’immagine a specchio). Questa è la forma più comune.
Universale quando ad essere interessata è quasi tutta la superficie del corpo.
Anche se la vitiligine può verificarsi ovunque sul corpo, è più probabile che si manifesti in:
zone esposte al sole, come il volto o le mani,
pieghe della pelle come i gomiti, le ginocchia o l’inguine,
pelle intorno agli orifizi (le aperture del corpo) come gli occhi, le narici, l’ombelico e la zona dei genitali.
Sebbene tutte le razze siano colpite allo stesso modo, le macchie tendono ad essere più visibili su chi ha la pelle scura; a volte i pazienti con vitiligine sono affetti da altri sintomi, come l’ingrigimento prematuro dei capelli o una perdita di pigmento sulle labbra e dalla pigmentazione delle cellule in queste zone.

Un trattamenti più complesso è invece la fotochemioterapia con raggi ultravioletti di tipo A: viene inizialmente somministrato un medicinale fotosensibilizzante, in seguito la parte colpita viene esposta ai raggi diretti del sole o, più spesso, a specifiche lampade UVA per ricolorare la pelle. Questo tipo di trattamento è tuttavia associato ad effetti collaterali anche gravi.

La più diffusa cura per la vitiligine è la fototerapia con l’uso dei raggi ultravioletti di tipo B: gli UVB hanno un’azione stimolante sui melanociti e sono in grado di ridurre la risposta immunitaria locale. Per ridurre i potenziali effetti collaterali di questo trattamento sono state messe a punto apparecchiature che agiscono solo sulle zone cutanee interessate.

E’ attualmente allo studio un nuovo tipo di terapia per la vitiligine che si basa sul trapianto di melanociti, coltivati in vitro a partire da un piccolo prelievo cutaneo di pelle sana.

Michael Jackson ci provava con una crema chiamata Porcelana, raccontano le cronache. La pop star americana soffriva di vitiligine (confermata dall’autopsia dopo la sua morte, avvenuta nel 2009) e voleva «sbiancarsi» per coprire la malattia (che provoca la comparsa di macchie «ipopigmentate» cioè bianche, particolarmente visibili in chi ha la pelle scura). Adesso alcuni ricercatori americani della Yale University di New Haven (Connecticut) hanno dimostrato che un farmaco, usato per curare l’artrite reumatoide (una malattia delle articolazioni), può fare il contrario: non sbiancare, ma aiutare le macchie bianche a ritrovare il colore naturale. Il farmaco si chiama tofacitinib e la ricerca è pubblicata su Jama Dermatology.

La vitiligine è una patologia rara, non è contagiosa, ma è psicologicamente devastante: mina l’immagine della persona. Finora si può controllare con creme a base di cortisone o con terapie che sfruttano la luce, ma con risultati non sempre soddisfacenti. Ecco perché i ricercatori stanno cercando nuove soluzioni. L’anno scorso Brett King, un dermatologo della Yale University ha dimostrato che il tofacitinib (una molecola che inibisce certi enzimi chiamati Jak - approvato dall’Fda, l’ente americano per il controllo sui farmaci, nell’artrite reumatoide appunto) può funzionare nell’alopecia areata: una malattia che provoca la perdita di capelli in zone circoscritte del cuoio capelluto.

Artrite reumatoide e alopecia hanno un’origine (per la verità ancora non chiara) che si rifà a una predisposizione genetica e all’autoimmunità (questo significa che in certi casi il sistema immunitario dell’organismo produce anticorpi che, invece di difenderlo contro aggressioni esterne, aggrediscono l’organismo stesso). Lo stesso vale per la vitiligine. Allora, si sono chiesti i ricercatori di Yale, perché non provare questo farmaco anche nella vitiligine che ha la stessa origine? Detto, fatto. I ricercatori hanno somministrato la medicina a una paziente di 53 anni con macchie di vitiligine in tutto il corpo.

Dopo due mesi di trattamento la paziente ha mostrato una parziale “ripigmentazione” (cioè le macchie bianche si scurivano) sulla faccia, sulle braccia e sulle mani. Dopo cinque mesi queste macchie erano quasi sparite, ma ne rimanevano alcune sul resto del corpo. Il farmaco non ha provocato effetti collaterali. Il risultato è davvero interessante, ma avvertono gli autori, occorrono altri studi per stabilire la sicurezza e l’efficacia della cura. «Ma questo risultato – ha detto Brett King, uno degli autori dello studio – può davvero rivoluzionare il trattamento di questa malattia».










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sabato 25 giugno 2016

DONNE CHE NON SI DEPILANO



L'orgoglio del pelo: spopola la moda di fare selfie senza depilarsi.
La nuova tendenza è nata nel Regno Unito e sta avendo sempre più seguaci. Ragazze di età compresa tra i 15 ed i 25 anni si sono "unite" in una campagna per la riappropriazione del diritto a non rasarsi delle donne di tutto il mondo e postano in rete le loro gambe pelose che non vedono la ceretta da molti mesi.

Scolpisce le sopracciglia, cura i capelli e il viso, ma non si depila. Yasmin Gasimova, diciannovenne studentessa all’Università di Liverpool, da circa otto anni rifiuta di radersi i peli del corpo: «Essere peloso non è spaventoso» è diventato il suo motto. Si depila le gambe, se proprio è necessario, solo prima di partire per le vacanze.

Diversamente, va orgogliosa dei suoi lunghi e spessi peli scuri. Sul giornale dell’università ha scritto: «In una società in cui ci si aspetta che le donne debbano per forza radersi, non mi vergogno ad ammettere che non lo faccio. Posso depilarmi l’inguine se vado in vacanza, ma normalmente le mie ascelle e le mie gambe sono pelose».

Yasmin ricorda di essere stata presa in giro dai compagni quando, a dieci anni, le sono spuntati i peli sul labbro superiore. «All’inizio ho cercato di radermi: avevo tanti peli anche sulla pancia.

Ma ho smesso presto: ogni settimana dovevo perdere almeno un’ora per rimettere le gambe in ordine. Era un disagio enorme per me, e avevo un sacco di peli incarniti».

Da quando ha smesso, invece, si sente molto più libera. «Mi depilo ancora quando è proprio necessario, quando prendo lezioni di nuoto».



Ma Yasmin vuole incoraggiare le altre donne ad accettare anche i loro peli. «Nulla di quello che è naturale del corpo di una donna dovrebbe farla sentire meno femminile. La realtà non deve essere nascosta».

Molte donne ricorrono alla depilazione delle gambe perché amano quella sensazione, direbbero che lo fanno per loro stesse.

Come sempre Madonna fa tendenza. Qualche tempo fa aveva pubblicato un selfie dove si mostrava con le ascelle non depilate. E ora sbarca sul web il progetto artistico "Natural Beauty" del fotografo Ben Hopper. Scopo del suo lavoro è presentare un concetto di bellezza non convenzionale (dove le donne non devono più sottoporsi alla noia-tortura della depilazione).

La realizzazione del progetto è durata sette anni. L’artista ha ritratto dodici ragazze – modelle, attrici, cantanti o semplicemente amiche – al naturale, ossia con peli superflui.

Le ragazze fotografate hanno tutte due aspetti in comune: sono belle e non sono depilate. Secondo l’artista questi due concetti non si escludono vicendevolmente. Le donne con le ascelle non depilate esprimono una bellezza alternativa.






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venerdì 24 giugno 2016

LA DEPILAZIONE



La depilazione è una pratica antichissima. Gli Egizi si rasavano con creme a base di olio e miele. E non solo le donne: i sacerdoti, oltre a rasarsi i capelli, si depilavano in segno di rispetto verso le divinità. Corpi maschili depilati erano diffusi in Grecia (gli atleti) e a Roma: per le gambe usavano gusci di noce arroventati. Ugualmente la pratica depilatoria è stata regolarmente adottata fra le varie popolazioni di cultura islamica. Fin dall'antichità classica, nei hammam, la pasta depilatoria più largamente diffusa è stata a lungo la cosiddetta nura, oggi sostituita da un impasto lavorato a caldo di succo di limone, zucchero e acqua.

Nella società egizia le donne erano solite radersi i peli del pube attraverso un composto di resina in grado di eliminarli in tempi rapidi. Il corpo femminile, infatti, nell’antico Egitto esprimeva bellezza e purezza solo se completamente liscio: unica eccezione consentita, i capelli.
In Grecia la donna pelosa era scansata e considerata aberrazione tipica dei ceti bassi, come del resto a Roma, dove venivano utilizzate delle pinzette ad hoc per la delicata operazione. Plinio il Vecchio suggeriva nei suoi scritti una speciale pozione di “bacche di sambuco, olio di lentisco e feccia d’aceto bruciata”.
Diverse pratiche depilatorie erano inoltre state introdotte a Roma dagli schiavi orientali, poiché in Oriente la depilazione era addirittura prescritta dalla legge, che indicava in un miscuglio di calce e trisolfuro di arsenico il rimedio contro gli inguardabili peli pubici. Un impacco caldo e via, il pelo era tolto.
Le giapponesi ricorrevano invece a rimedi grossolani come il pellame dei pescecani essiccato: bastava strofinare e i peli cadevano stecchiti, come polverizzati.
Si continuò così fino al 1500, quando Caterina de’ Medici vietò la depilazione alle donne in stato di gravidanza e la pratica conobbe una fase di declino, salvo perpetuarsi secondo la tradizione di ogni luogo.
Nel secolo scorso la moda inizia a cambiare e, come sempre, l’evoluzione del gusto si ripercuote su molti aspetti della vita quotidiana, depilazione inclusa: riposti i corsetti e le ampie gonne a campana, le donne si trovano alle prese con i modelli più corti, che lasciano scoperte le gambe anche quando rivestite dalle calze. La trasparenza del collant diventa un must irrinunciabile e di conseguenza si presenta come altrettanto imperativo non solo provvedere alla depilazione, ma anche farlo in modo sicuro, per evitare di ricoprire le gambe di lesioni e sfregi.
Inizia così lo studio di sostanze che supportino una attività regolare da parte femminile, e un esempio di come inizialmente si brancolasse nel buio e si tendesse a dar credito a chiunque pur di ottenere il risultato agognato, è rappresentato dalla nota ‘Rusma Turca’. Inventata da uno stregone, la pratica prevedeva una mistura di elementi tra i quali la calce e lo zolfo, e fin qui niente di strano; il fatto che invece l’impasto dovesse soggiornare sulla pelle dell’interessata fino a produrvi un principio di ustione che ovviamente ‘distruggeva’ il pelo lascia un po’ a desiderare.
Si deve attendere fino al dopoguerra per incontrare il precursore delle moderne strisce depilatorie, basato sul solfidrato di calce in luogo della calce pura.
Al giorno d’oggi, c’è solo l’imbarazzo della scelta, il problema è semmai orientarsi tra la gamma a dir poco infinita dei prodotti studiati per eliminare in modo più o meno duraturo i nemici giurati della femminilità.



Possono essere oggetto di depilazione tutte le parti del corpo eventualmente ricoperte di peli superflui o ritenuti tali. Tipicamente oggetto di depilazione sono, nell'uomo, oltre al volto, la zona toracica e le gambe; nella donna, le ascelle, le gambe, le braccia e l'inguine.

Sempre più frequente è l'uso di depilare, parzialmente o integralmente, anche la zona del pube, sia nell'uomo che nella donna, prevalentemente come abitudine legata alla sessualità ma anche per igiene.

Essa viene effettuata dai maschi prevalentemente per scopi igienico-sanitari, spesso legati all'attività sportiva svolta, onde prevenire infezioni dovute alla permanenza, causata dai peli, di batteri a contatto con eventuali ferite o escoriazioni prodotte da traumi fisici. In tempi recenti, tuttavia, la depilazione viene effettuata spesso anche per questioni estetiche o per mantenere visibili eventuali tatuaggi.

Sono numerosi i metodi di depilazione comunemente applicati. I principali sono:
rasoio a lama o elettrico, di tipo simile a quelli utilizzati per la rasatura del volto maschile;
depilatori chimici, ovvero prodotti cosmetici in grado di interrompere i legami disolfuri della cheratina, basati normalmente sull'acido tioglicolico e suoi sali;

Sono invece pratiche epilatorie:
cerette, applicate a caldo o a freddo, che incorporano il pelo al loro interno, solidificandosi, per poi essere asportate a strappo. Il nome ceretta viene attribuito alla pratica di depilazione a strappo che sfrutta l'adesività di diverse sostanze: cere, colofonia, zuccheri e la cosiddetta ceretta araba
La ceretta a caldo nelle sue varie fasi:
il riscaldamento della ceretta
l'applicazione all'ascella e lo strappo
il risultato
elettrocoagulazione a mezzo ago o radiofrequenza.
fotodepilazione a mezzo laser, luce pulsata o infrarosso impulsato, strumenti che praticano la fototermolisi selettiva del follicolo pilifero e che consentono una epilazione che dura nel tempo.
epilazione meccanica, facendo scorrere sulla pelle una macchinetta (epilatore) che pinza e strappa con rapidità il pelo, rompendolo o estraendolo fino alla radice. L'epilazione meccanica, può essere realizzata anche manualmente con pinzette o con un filo sottile manovrato in modo che si attorcigli ai peli prima dello strappo.



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LE MASCHERE DI BELLEZZA



Le maschere di bellezza sono cosmetici utilizzati per contrastare alcuni inestetismi cutanei localizzati principalmente sul viso o, meno spesso, in altre parti del corpo. L'applicazione regolare/settimanale di maschere per il viso conferisce alla pelle un aspetto giovanile e fresco: non a caso, queste preparazioni cosmetiche sono molto richieste nei saloni di estetica, soprattutto dalle donne che amano mostrare sempre una pelle brillante ed elastica, e sentirsi più giovani e belle.

L'efficacia del prodotto è data dalla sapiente associazione dei principi attivi funzionali incorporati nella ricetta: le maschere per il viso possono essere realizzate per idratare, rivitalizzare, tonificare, detossinare, purificare, nutrire, ammorbidire la pelle o quant'altro. Molte donne si appoggiano all'effetto simil-terapeutico di maschere viso anche per camuffare piccoli inestetismi come cicatrici lasciate dall'acne o macchie della pelle che imbruttiscono visibilmente l'immagine di una persona.

Dal punto di vista formulativo, le maschere viso sono composte "semplicemente" da un veicolo base nel quale viene incorporata una miscela di attivi funzionali. Il più delle volte, il veicolo è costituito da betonite, un materiale derivato dalla roccia vulcanica che si presta eccellentemente a tale scopo: questo composto naturale viene largamente utilizzato come base di maschere viso in quanto presenta una straordinaria affinità/compatibilità con moltissime molecole. Inoltre, assorbendo una generosa quantità di acqua, la betonite si trasforma facilmente in una massa densa e gelatinosa, tale da agevolarne l'applicazione sulla pelle.
I principi attivi dispersi nella betonite possono essere i più disparati: estratti antiossidanti, dermopurificanti, lenitivi, emollienti, idratanti, schiarenti, rivitalizzanti.

Una maschera viso ideale deve rispondere ad alcuni requisiti essenziali:
Idratare ed ammorbidire in profondità pelli secche, aride e sciupate dall'inarrestabile avanzare del tempo
Proteggere la pelle da aggressioni esterne
Donare elasticità alla pelle del viso
Purificare a fondo la cute
Incentivare il microcircolo del viso
Favorire la penetrazione delle sostanze funzionali attive incorporate nel veicolo
Ricaricare lo splendore della giovinezza del volto
Proprio come alcune creme idratanti/nutrienti di qualità, le maschere viso sono appositamente studiate per ripristinare un alterato equilibrio idrolipidico cutaneo e ristabilire il pH fisiologico, proteggendo la pelle sensibile dagli insulti atmosferici.
Quelli appena descritti sono solo alcuni degli innumerevoli effetti positivi promossi dalle maschere di bellezza. Esistono infinite tipologie di maschere viso, ognuna delle quali può essere formulata con una specifica combinazione di ingredienti cosmetici e funzionali: queste preparazioni cosmetiche vengono generalmente personalizzate, in modo da soddisfare appieno le esigenze del cliente.

Ogni maschera viso dev'essere perfettamente adattata ai differenti tipi di pelle.



Le maschere di bellezza devono essere applicate su pelli accuratamente deterse ed asciutte: ogni rimasuglio di trucco dev'esser perciò rimosso con detergente struccante specifico ed abbondante acqua, possibilmente tiepida. Prima di procedere con l'applicazione di una maschera è perciò importante porre particolare cura alla pulizia del viso.

La maschera va applicata con un pennellino a setole morbide oppure spalmata con i polpastrelli. La maschera deve aderire perfettamente alla pelle del viso, senza risultare troppo irritante o particolarmente appiccicosa. In genere, il prodotto viene applicato a partire dal mento, per coprire poi il collo e tutto il viso fuorché contorno occhi e perimetro delle labbra.
Durante il tempo di posa (variabile normalmente dai 15 ai 20 minuti) si consiglia di applicare sugli occhi un batuffolo di cotone imbibito di una lozione decongestionante a base di estratti di camomilla. In alternativa, è possibile sistemare sulle palpebre due fettine di cetriolo, dall'azione sfiammante (il rimedio è particolarmente indicato per contrastare le borse e le occhiaie sotto gli occhi).
Alcune maschere viso (molte, in realtà) si seccano pochi istanti dopo essere state applicate. Questi tipi di maschera sono molto particolari: la sensazione che si percepisce sul viso è quella di indossare una maschera di gesso. Altre maschere viso, più leggere, rimangono invece umide e non seccano completamente (es. maschere all'argilla).

Trascorso il tempo necessario, la maschera viso va delicatamente rimossa con acqua tiepida. È possibile facilitare la rimozione della massa densa-secca con una spugnetta morbida e con le mani.
Per sfruttare al massimo l'effetto benefico della maschera viso, dopo la sua rimozione si consiglia di applicare un generoso strato di crema (nutriente, antirughe, emolliente, antiage ecc.) per mantenere quanto più a lungo la pelle morbida, idratata e luminosa. A tale scopo, la crema all'acido ialuronico si rivela particolarmente adatta per le pelli mature che presentano piccole rughe superficiali. Le creme arricchite di principi attivi naturali ad azione astringente (es. creme antiacne) sono invece consigliate per le pelli impure ed acneiche.

La frequenza d'applicazione consigliata per le maschere viso varia in base al tipo di pelle, agli ingredienti funzionali presenti nella ricetta ed alle esigenze del cliente. Mentre alcune maschere viso (come quelle idratanti ed emollienti) possono essere applicate anche più volte a settimana, altre (specie quelle esfolianti) vanno utilizzate non più di una o due volte al mese. Esistono perfino maschere viso di pregio estremamente elevato, realizzate con foglie d'oro a 24 carati: queste ultime (dal costo chiaramente alto e non sempre accessibile, stimato attorno ai 300 dollari) non devono essere utilizzate più di 1-2 volte l'anno.

La preparazione di maschere per depurare la pelle è ideale per combattere l’acne presente ed evita l’insorgenza di nuovi brufoli.

Maschera all’argilla: 7 cucchiai di argilla verde, 7 cucchiai di argilla bianca, 7 gocce di Olio essenziale di lavanda, 7 gocce di olio essenziale di tea tree. Mischia accuratamente tutti gli ingredienti.

Il composto farinoso che si è formato lo puoi conservare per anche un anno, infatti per la preparazione di una maschera basta un cucchiaio del composto realizzato a cui aggiungerai una parte liquida, quanto basta per poterlo spalmare sul viso e lasciar agire per 10 minuti.

Per quanto riguarda la parte liquida puoi utilizzare diversi ingredienti: the verde, yogurt, acqua, infusi, acqua di rose, miele… questi ingredienti devi aggiungerli nel momento in cui decidi di fare la maschera visto che non sono prodotti a lunga conservazione.

Maschera al bicarbonato: mischiate del bicarbonato con un po’ di acqua fino a creare una poltiglia cremosa, quindi spalmala sul viso e lasciala agire per 5/10 minuti.

Maschera al cetriolo: frulla un cetriolo, quando sarà ben frullato aggiungi un paio di cucchiai di yogurt. Spalma sul viso e tieni in posa per 10 minuti.

Maschera al limone e uovo: monta a neve il l’albume di uovo e aggiungi due cucchiai di succo di limone. Spalma la crema sul viso e lascia agire per 10 minuti.



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giovedì 16 giugno 2016

ABBRONZATURA INTEGRALE



Da stile di vita a moda, l’abbronzatura integrale è il desiderio di un numero sempre maggiore di persone, ma non è per tutti.

Le zone del corpo coperte dal costume sono molto delicate e chi ha la pelle chiara, non è abituato o si scotta facilmente deve fare particolare attenzione.

Prendere il sole senza costume sul lettino non è consentito, ma potete ottenere una tintarella (quasi) senza segni comunque.

Un vecchio trucco consiste nell’alternare costumi diversi per forma, sgambatura e scollatura, preferendo – se possibile – i modelli con reggiseno a fascia e con slip a vita bassa e di tipo brasiliana. L'”effetto negativo” è ridotto ai minimi termini, ma l’abbronzatura integrale è un’altra cosa.

Se volete un’abbronzatura integrale, ma il naturismo non fa per voi, la soluzione di ultima generazione è rappresentata dai costumi “tan-trough”.

Come dice il nome stesso, si tratta di costumi realizzati in uno speciale materiale microforato che lascia passare i raggi del sole, permettendo di “abbronzarsi attraverso” il tessuto, senza segni.

A seconda del tipo, i costumi “tan-trough” lasciano passare dal 50% all’80% dei raggi solari e richiedono l’applicazione di un fattore di protezione medio o basso.

I benefici dell’abbronzatura integrale sono gli stessi della tintarella con il costume.

Un giusta quantità di sole fa bene al fisico e allo spirito, perché stimola la produzione di serotonina e Vitamina D.

Troppo invece, oltre a causare eritemi e scottature, accelera il processo di invecchiamento dei tessuti ed espone al rischio di tumore della pelle.



In particolare, l’abbronzatura integrale può avere effetti spiacevoli sulle zone più delicate – il seno per le donne e l’area genitale – che oltre a presentare una cute molto sensibile non sono “abituate” al sole e dunque vanno protette con ancora maggiore attenzione.

Sia che si prende il sole nudi sia che si è coperti da un costume ci sono alcune regole sempre valide che riguardano la protezione della pelle con creme solari adeguate al proprio fototipo: ne esistono 6 tipi, dalla pelle più chiara fino ad arrivare a quella più scura, ognuna con una diversa sensibilità all’esposizione solare.

Una volta individuato il proprio fototipo e scelta una crema solare adeguata quando si prende il sole nudi bisogna ricordare che le parti intime sono sempre più delicate perchè meno abituate ad essere esposte al sole essendo ben coperte per tutto l’anno; è quindi necessaria una protezione maggiore con l’applicazione di una protezione solare più alta, soprattutto i primi giorni, evitando sempre le ore più calde e cercando di avere la teste sempre coperta, ad esempio con una bandana o un cappello.

L‘abbronzatura, oltre ad essere un ruolo dal punto di vista estetico e psichico perchè la pelle abbronzata ci fa sentire e apparire più belli e più sani, ha anche una certa importanza per la salute perchè i raggi solari aiutano a sintetizzare la vitamina D che ha un ruolo importante per fissare il calcio nell’organismo e, di conseguenza, per il benessere delle ossa; inoltre grazie al sole si rinforzano le difese immunitarie.

Stare in spiaggia “come mamma ci ha fatti” solleva alcuni dubbi sul maggior rischio di contrarre infezioni rispetto a quando si indossa il costume. In realtà non sembra esserci poi tanta differenza se si seguono alcune regole base come utilizzare sempre un telo mare personale ed evitare di sedere su sdraio e lettini a contatto diretto del corpo.

Passando alla sabbia, sottile e impalpabile, sappiamo bene che non si lascia bloccare da un costume e facilmente supera questa “barriera”; lo stesso vale per tutti gli agenti esterni che si trovano in acqua per cui indossare o meno il costume può non essere una grande differenza; anzi  dopo aver fatto bagno può trasformarsi in un vantaggio essere nudi perchè così non si crea l’ambiente umido di quando il costume si asciuga e che spesso favorisce irritazioni e altri fastidi intimi che richiedono delle attenzioni in più nell’igiene intima estiva.



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mercoledì 15 giugno 2016

TATUAGGI E SOLE



I raggi ultravioletti, mentre regalano alla pelle un bel colore dorato, tolgono vita ai  tatuaggi. Più ci si abbronzati, più l’ inchiostro si scolorirà e il colore da brillante diventerà “noioso”.

L’abbronzatura artificiale è dannosa tanto quanto quella naturale, se non addirittura di più. I raggi ultravioletti sono molto più concentrati, e le persone tendono a sovraesporsi nei lettini abbronzanti, senza tener conto della pericolosità e dei danni che ciò implica.

Bruciare la propria pelle danneggerà un tatuaggio più di quanto lo farà un’ abbronzatura lenta.

La zona del tatuaggio è più sensibile e più soggetta alle scottature. Questo è un fattore da tenere in considerazione, se vogliamo prestare attenzione alla cura della nostra pelle e al benessere in generale.

I rischi dell’abbronzatura possono essere tanti, specialmente se ci esponiamo al sole nelle ore più calde della giornata e troppo a lungo. E’ logico che l’esposizione ai raggi solari è capace di regalare alla nostra pelle un bel colore dorato. Tuttavia l’abbronzatura rischia di rendere i colori del tatuaggio più opachi, perché l’inchiostro si può scolorire e il colore può diventare meno brillante.
Questo non vuol dire che bisogna rinunciare completamente all’abbronzatura, se si ha un tatuaggio. Significa semplicemente che bisogna seguire le corrette indicazioni, che valgono anche per chi decide di andare al mare, anche se non ha un disegno sulla cute.
E’ importante, specialmente nel caso della prima abbronzatura, cercare un fattore di protezione molto alto, in grado di proteggere la pelle e il tatuaggio. Una crema solare può risolvere il problema. In questo modo il tatuaggio non correrà il rischio di rovinarsi.
Il rimedio della crema solare può essere applicato circa dopo 2 o 3 settimane da quando ci si è fatti il tatuaggio. Nei momenti che precedono questo periodo è meglio tenere il tatuaggio coperto e non esporlo al sole.
Soltanto quando il tatuaggio non si spellerà più, si può utilizzare la protezione solare, perché il corpo sarà riuscito a ricreare il suo primo strato protettivo di pelle nell’area interessata.



C’è poi chi utilizza le lozioni autoabbronzanti, per ottenere velocemente un colorito dorato. In questo caso le conseguenze possono dipendere dal tipo di autoabbronzante che si utilizza. Alcuni prodotti, infatti, potrebbero creare degli effetti insoliti sul tatuaggio. Per evitare ciò, è sempre meglio non applicare la lozione direttamente sul disegno.i

D’estate, il sole non ci risparmia solo perché non stiamo stese per ore in spiaggia per ottenere un’abbronzatura da fare invidia. Perciò quando stiamo all’aperto sotto il sole – per una passeggiata, lavori in giardino, un giro in centro –, e in particolare nelle ore più calde, proteggiamo i nostri tatuaggi. Nessun problema se sono coperti dai vestiti; altrimenti è buona regola applicare una protezione prima di uscire. O, semplicemente, stare all’ombra.

Non è una buona idea fare un tatuaggio la settimana prima di partire per il mare. E probabilmente il vostro tatuatore vi avrà chiesto se sarete molto esposte al sole e vi avrà spiegato come fare per proteggere il vostro nuovo, amatissimo tattoo, con lavaggi e apposite lozioni after care. Queste regole sono da rispettare scrupolosamente: nessuna esposizione prolungata al sole e nessuna protezione solare aggiuntiva finché il tattoo avrà completato la sua prima fase di guarigione – insomma, finché avrà smesso di spellarsi. Dunque, per due o tre settimane.



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mercoledì 8 giugno 2016

L'ACNE GIOVANILE



L’acne è una dermatosi provocata dall’infiammazione dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee della pelle: complessivamente il nostro corpo possiede circa quindici ghiandole sebacee, situate alla base dei peli, che producono il sebo; quest’ultimo però se prodotto in eccesso può occludere i pori e innescare il processo infiammatorio che porta appunto all’acne. All’inizio si manifesta con l’insorgenza sulla pelle del viso o della schiena dei comedoni, classici punti bianchi o punti neri, in rilievo in cui ristagna tutto il sebo prodotto in eccesso; successivamente, a causa dei batteri che infettano i pori, si instaura tutto il processo infiammatorio, a questo punto compariranno le classiche lesioni pustolose.

L'acne volgare o giovanile, colpisce prevalentemente i giovani in età pubere, si localizza soprattutto al viso e al torace. La sua origine è dovuta agli ormoni sessuali (androgeni) e ad alcuni microrganismi (soprattutto il Corynebacterium acnes) che liberano acidi grassi fortemente irritanti per il derma provocando diversi tipi di lesioni (comedoni, pustole, piccoli ascessi).

Le fasi di evoluzione dell'acne sono tre e sono caratterizzate rispettivamente dalla presenza di comedoni (punti neri chiusi e aperti), di papule (elementi infiammati) e di pustole (brufoli con il puntino bianco o giallo). Il comedone si sviluppa per ostruzione dello sbocco dei follicoli o pori della pelle. Segue poi una fase infiammatoria con papule rosse che possono diventare brufoli con la punta bianca o gialla. Esistono diversi tipi di acne. Tra questi c'è l'acne polimorfa giovanile: viene definita "polimorfa" perché sulla pelle di chi ne è affetto sono presenti contemporaneamente comedoni, papule e pustole. Colpisce, in genere, tra i 12 e i 18 anni. Viene definita "polimorfa" perché sul viso del soggetto che ne soffre sono presenti contemporaneamente comedoni (punti neri e punti bianchi), papule (elementi infiammati) e pustole (brufoli con l'estremità superiore bianca o gialla).



I soggetti affetti da acne giovanile presentano una maggiore sensibilità allo stimolo degli ormoni.
In generale tra le cause che possono dar vita all'acne si trovano: la familiarità (se uno dei genitori o entrambi hanno sofferto di acne); lo stress (l’acne può aggravarsi in caso di situazioni stressanti); l’uso di cosmetici coprenti. L’alimentazione non è invece in causa.
Per chi soffre di acne sono raccomandabili alcuni comportamenti:
Detergere la pelle con prodotti non schiumogeni e non troppo di frequente.
Evitare l'uso di cosmetici in crema.
Evitare di applicare qualsiasi crema compresa la crema solare.
Ricordare di struccarsi completamente prima di andare a dormire per permettere alla pelle di respirare.
Indossare un abbigliamento non troppo aderente che intrappoli il calore e l'umidità e favorisca lo sfregamento e l'irritazione della pelle.



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mercoledì 1 giugno 2016

I TRATTI SOMATICI



Le notevoli differenze esteriori che contraddistinguono i gruppi umani sono in gran parte dovute al fattore climatico. Nelle lunghe migrazioni che hanno portato l’Homo sapiens dall’Africa, sua regione d’origine, in tutti gli angoli del pianeta, gli esseri umani sono stati capaci di adattarsi alle diverse condizioni ambientali via via incontrate, grazie alla selezione naturale: un processo di adattamento indispensabile alla sopravvivenza, vista la forte differenza sussistente tra le condizioni climatiche del continente africano rispetto a quelle presentate dagli altri continenti.
Uno dei segni più evidenti su cui si basa la classificazione degli esseri umani è il colore della pelle, determinato dalla quantità di melanina presente nell’epidermide, che produce una vasta gamma di sfumature, dall’estremamente chiaro delle popolazioni nordeuropee allo scuro intenso di certi gruppi africani.
Il colore della pelle è solo una delle modificazioni avvenute nel corpo in risposta alle nuove condizioni ambientali via via incontrate dall’uomo nel lungo processo di colonizzazione del pianeta. Se si osservano le dimensioni corporee delle popolazioni che vivono in regioni molto umide, come la foresta tropicale (pigmei, indios amazzonici), si nota immediatamente quanto esse siano ridotte rispetto alla media umana. Infatti in un clima caldo e umido è conveniente essere piccoli per aumentare la superficie rispetto al volume, poiché è alla superficie che avviene l’evaporazione del sudore, che consente al corpo di raffreddarsi. Inoltre un corpo piccolo necessita di un minore impiego di energia nel muoversi e quindi di una minore produzione di calore interno. Allo stesso modo, i capelli crespi, tipici dei pigmei della foresta dell’Ituri (Congo) e dei neri in generale, trattengono maggiormente il sudore, prolungando l’effetto di raffreddamento dovuto alla traspirazione (Cavalli Sforza 1996). Nelle popolazioni che vivono in climi freddi sono caratteristici i tratti somatici di tipo mongolico: il naso piccolo riduce il pericolo di congelamento e le narici affilate fanno in modo che l’aria, arrivando più lentamente ai polmoni, si riscaldi e acquisti umidità; l’accumulo di grasso sotto le palpebre protegge gli occhi dal freddo e lascia un’apertura molto sottile, che riduce l’esposizione dell’occhio ai venti artici; il volume corporeo è maggiore di quello delle popolazioni di foresta, poiché, diminuendo la superficie rispetto al volume, si riduce la dispersione di calore verso l’esterno; il corpo e la testa, infine, hanno forme che tendono alla rotondità, in quanto la forma sferica trattiene maggiormente il calore.  Per contro, nei popoli che abitano regioni torride e desertiche (come i gruppi nilotici dell’Africa orientale o i tuareg del Sahara) si nota una tendenza verso una figura allungata e sottile, che consente una dispersione del calore ottimale e un migliore raffreddamento.

Le migrazioni sono causa di incroci tra individui di popolazioni diverse, con conseguente inevitabile modificazione delle frequenze geniche. Per esempio, come risultato del flusso di geni, la popolazione del Brasile moderno ha una frequenza genica che non era caratteristica degli africani, europei e nativi americani che contribuirono alla formazione di tale popolazione (Harris 1993).

Si è visto come la diversità del colore della pelle e delle dimensioni corporee sia in realtà un fattore adattivo, dettato in particolare dall’influenza del clima e pertanto non legato alla razza. Procedendo a una mappatura sistematica si possono riscontrare diversità genetiche anche tra piccole popolazioni contigue e, scendendo ancora più nel dettaglio, si potrebbero mettere in evidenza le diversità genetiche esistenti tra gruppi di individui all’interno della popolazione stessa. Se ci sono differenze di tipo genetico, queste non sono dovute alla separazione delle razze in quanto tali, bensì a eventuali barriere di tipo linguistico o di tipo ambientale. In quest’ottica, appare chiaro che la volontà di classificazione, seguendo un rigoroso metodo scientifico, dovrebbe portare a un frazionamento totale del genere umano, dove, per assurdo, ogni individuo verrebbe a costituire una razza a sé.

Se i processi adattivi hanno provveduto a modificare i corpi degli uomini in conseguenza dei loro habitat, gli uomini hanno contribuito a creare altre differenze per distinguere il proprio gruppo di appartenenza da quelli limitrofi, modificando i tratti originali del corpo tramite particolari acconciature dei capelli, tatuaggi, cicatrici, deformazioni corporali ecc. (decorazione). Così, per esempio, nell’Africa occidentale i diversi gruppi etnici si distinguono tra di loro in base alle cicatrici che vengono incise sul volto dei neonati, le quali rappresentano una vera e propria ‘carta d’identità’ dalla cui lettura è possibile stabilire il gruppo etnico del portatore, la regione di origine e, in alcuni casi, anche il clan cui esso appartiene.
Una delle modificazioni più appariscenti è la deformazione del cranio, pratica seguita da diverse popolazioni. Gli armeni e i curdi dell’Asia minore si deformavano il cranio per evitare di essere confusi con i turchi e quindi condotti come schiavi in Persia. Lo stesso costume era diffuso forse nel Messico precolombiano e sicuramente fra alcuni gruppi di indiani del Nord America (un gruppo di essi era significativamente conosciuto come ‘teste piatte’). Un’altra testimonianza dell’esigenza di segnare sul corpo la differenza di status e di potere è riscontrabile fra i dìì del Camerun, dove la popolazione maschile pratica la circoncisione, mentre il capo per esprimere la sua diversità si sottopone a un’ulteriore operazione, attraverso la quale il pene è privato quasi completamente della pelle. Anche la tendenza a ‘scrivere’ sui corpi per definirne la particolarità è uno dei segni tipici dell’attività culturale, che determina la distinzione in primo luogo tra gli uomini e gli animali e, successivamente, tra i diversi gruppi umani. La necessità di non essere uguali agli altri nasce dall’esigenza di creare un ‘noi’ definito e limitato. La comunità, il gruppo, l’etnia sono entità che esistono in funzione di una loro diversità rispetto agli altri, diversità che, non essendo sempre evidenziata da tratti naturali visibili, viene creata mediante la modificazione particolare del proprio corpo al fine di trasformarlo in ‘emblema’ che rappresenti l’appartenenza a un determinato gruppo. La creazione di un’identità implica due operazioni diametralmente opposte: la prima consiste nel ‘separare’ e quindi nel rendere diverso; la seconda invece nell’‘assimilare’, cioè nel rendere uguale (Remotti 1996). Lo scrivere sul proprio corpo risponde a queste due esigenze: tracciando segni particolari, utilizzando colori specifici, modificando forme originali di parti del corpo, si rende quest’ultimo diverso dagli altri; allo stesso tempo tali operazioni danno vita a un gruppo che si riconosce, per opposizione, in quanto portatore unico di tali segni distintivi.

Il paradossale che si riscontra in quasi tutti gli organismi dell'Australia, si mostra anche nell'uomo indigeno di questo continente, ciò che ha condotto ad elevarlo a tipo speciale. I suoi caratteri fisici sono i seguenti: statura raramente superiore a metri 1,83, ne inferiore a m. 1,52; in media può calcolarsi per gli uomini a m. 1,62 e per le donne a m. 1,58. Corpo snello, braccia e gambe lunghe, generalmente assai magre. Ventre molto prominente. Fronte stretta, di solito fuggente; occhi piccoli, neri, infossati; naso alla radice depresso, in basso largo, aquilino. Zigomi larghi, mandibola robusta, mento rientrante. Bocca grande con labbra tumide. Capelli lunghi, lisci, ondulati o ricciuti, ma non lanosi, neri o bruni oscuri. Corpo riccamente peloso, barba bene sviluppata. Pelle nera o bruna oscura che tramanda un odoro ingrato. Indice cefalico in media di 71,49; indice dell'altezza, 73. Capacità craniana poco superiore ai 1200 c. c. Angolo facciale inferiore a 70 gradi. Abita l'Australia.

Facoltà intellettuali, bassissime. Di pudore nessuna traccia tanto è vero che i missionari non hanno mai potuto abituarli a portare vestiti. Praticano la pittura del corpo ed il tatuaggio, e dedicano molte cure alla capigliatura ed alla barba. Conducono vita nomade ed hanno capanne assai imperfette. Sono onnivori e alcune tribù dedite all'antropofagia.

I Negriti hanno statura bassa che in media non tocca i m. 1,47; capelli neri, lanosi, disposti a ciuffi; pelle nera o lucente; barba scarsissima. Sono subbrachicefali, poichè l'indice cefalico non supera il valore di 83. Abitano le isole Andamane, l'interno della penisola di Malacca e le isole Filippine, e si suppone che nei tempi passati avessero una distribuzione geografica assai più estesa della presente. A seconda della località da essi abitata ebbero nomi diversi; cioè si distinguono i Mincopai delle isole Andamane, i Semangi dell'interno di Malacca, gli Aeti delle isole Filippine, e i Chalangi di Giava.

I Tasmaniani avevano una statura fra m. 1,67 e 1,73, raramente più alta; torace ampio e bene sviluppato, braccia piuttosto lunghe; mani delicate e piccole; gambe sottili e scimmiesche e piedi sproporzionatamente grandi, larghi e piatti. Pelle ruvida, come si suol dire, atta per accendere fiammiferi, arida, di odore caprino e di colore fuliginoso a diverse sfumature. Capelli lanosi, disposti a ciuffi; estesi molto in basso sulla fronte in ambedue i sessi. Barba negli uomini bene sviluppata, corpo dei medesimi molto peloso e sovente anche nelle donne. Occhi vivaci, infossati, ad iride bruna oscura. Naso breve, alla base depresso, largo, con pinne molto sviluppate. Bocca enorme, labbra grosse. Denti bianchi, grandi. Fronte stretta, bassa, alquanto fuggente. Mento largo, ma basso e sfuggente indietro. Indice cefalico fra 76 e 77. Prognatismo moderato. Capacità craniana alquanto superiore a quella degli Australiani. Abitavano la Tasmania.

Dei Tasmaniani non ci restano che alcuni crani sparsi nei diversi Musei, qualche fotografia degli ultimi superstiti ed i ricordi dei viaggiatori. La scomparsa di questi selvaggi è dovuta in buona parte alla brutalità degli Inglesi che li trattarono come animali feroci.



I Papuani hanno statura soltanto mediocre che si calcola di m. 1,60 negli uomini e di m. 1,50 nelle donne; sono bene conformati, ad estremità però sottili e piede piatto. Colore della pelle nero o di cioccolata. Naso grosso e largo alla base, ma rilevato e curvo; labbra grosse, arcate sopraccigliari molto marcate, fronte bassa e mento fuggente. Capelli ricchi, neri, lanosi, disposti a ciuffi, formanti al solito un'ampia parrucca; barba e pelo bene sviluppati. Sono popoli dolicocefali, avendo i maschi un indice cefalico medio inferiore a 70, le femmine inferiore a 72. Faccia notevolmente prognata, a prognatismo più alveolare che mascellare. Foro occipitale collocato alquanto più indietro che nelle razze superiori.

Abitano la Melanesia, ossia tutte le isole ed i gruppi insulari dalla Nuova Guinea ad ovest fino alle isole Viti ad est.

Ad essi appartengono i Neo-Guineani, che ne rappresentano il tipo nella maggiore sua purità, gli abitanti delle isole dell'Ammiragliato, quelli dell'arcipelago della Nuova Bretagna, gli abitanti delle isole Salomone, gli abitanti delle isole della Regina Carlotta e dello Nuove Ebridi, i Neo-Caledoniani ed i Vitiani.

I Boschimani hanno la pelle di colore molto chiaro per essere abitatori dell'Africa meridionale, e cioè del colore del cuoio conciato, inoltre assai rugosa anche negli individui di età non molto avanzata. Capelli neri, lanosi, disposti a ciuffi. Statura piccola od appena mediocre. Prognatismo moderato. Labbra piene, ma meno tumide che nei Negri. Barba scarsa, corpo pochissimo peloso. Naso piccolo con larghe narici. Mento piccolo ed acuto. Occhi socchiusi, ma non obbliqui. Mani e piedi piccoli.

Nelle femmine vi ha manifesta steatopigia, e le labbra minori degli organi sessuali esterni sono sviluppate in modo da produrre il così detto grembiule. Razza dolicocefala. Il setto che divide la fossa olecranica dalla coronoidea è perforato.

Gli Ottentoti abitano l'estremo sud-ovest dell'Africa, estendendosi verso nord fino circa al 19° grado di latitudine australe. I Boschimani, detti anche Saan, hanno la loro sede principale lungo il fiume Orange, ma si estendono a nord fino al Kumene ed allo Zambesi, ossia fino al 27° grado circa di lat. australe.

La deposizione di grasso, che nelle femmine determina la steatopigia, ha luogo nelle natiche ed intorno a esse, e sulla faccia esterna delle coscia.

Gli Abantu, hanno statura generalmente grande od almeno superiore alla media, giacchè sale a circa m. 1,70. Sono popoli dolicocefali, l'indice della larghezza oscillando intorno al valore di 72. L'indice dell'altezza è in media di 73,81. Capacità craniana intorno a 1450 c. c. L'occipite sporge molto in dietro, la fronte è bene arcuata. Testa prognata pel potente sviluppo delle mascelle e dell'apparato della masticazione in genere; l'angolo facciale, secondo il Topinard, è di 68° 21'. Spazio interorbitale largo; naso rilevato. Capelli lanosi, non disposti a ciuffi. Labbra grosse. Pelle bruna con molte sfumature. Corpo scarso di peli, barba debole. Abitano il mezzodì dell'Africa fino circa all'equatore che di poco sorpassano, detratta quella porzione del sud-ovest che è occupata dai Boschimani e dagli Ottentoti.

Non è facile di definire il tipo nero, perchè multiforme; nondimeno sono generalmente validi i seguenti caratteri. Statura piuttosto alta e snella, talvolta molto alta, raramente piccola. Cranio dolicocefalo, a fronte stretta; coll'occipite assai sporgente in dietro e la fossa temporale molto profonda. Arcate sopraccigliari poco sporgenti. Testa prognata. Faccia lunga e stretta; occhi neri, orizzontali, poco aperti. Bocca larga, denti bianchissimi ed obbliqui in ambedue le mascelle. Labbra tumido. Naso largo, schiacciato, sopratutto alla base. Mento breve. Pelle di colore bruno che va fino al nero, scarsamente pelosa, di odore particolare ingrato, e che al tatto fa l'impressione del velluto. Capelli neri, lanosi, a modo di fitto vello. Barba di solito scarsa e tardiva. Braccia con avambraccio proporzionatamente molto lungo. Polpaccio della gamba poco sviluppato; piede piatto e sfornito di arco davanti al tallone. Bacino piccolo e stretto. Capacità craniana inferiore ai 1400 c. c.. Abita il territorio che si estende fra l'equatore ed il tropico del Cancro che di poco oltrepassa, tocca verso l'ovest l'Atlantico e non arriva verso est fino al mare.

I Malesi hanno pelle bruna chiara, talvolta ramea; capelli abbondanti, neri, diritti od ondulati; barba quasi sempre scarsa; occhi moderatamente aperti, neri o bruni, alquanto obbliqui; naso corto, largo, piatto, a narici dilatate; fronte alta, bene convessa; bocca grande con labbra grosse ed arrovesciate. Prognatismo marcato.

Sono in generale brachicefali, raramente mesaticefali, soltanto per effetto dell'incrocio tendenti talvolta alla dolicocefalia. Statura di solito bassa, raramente mediocre. I Malesi abitano la penisola di Malacca, le isole dell'arcipelago della Sonda, le isole Filippine e la Micronesia, nelle quali località però non sono gli unici inquilini, ma trovasi più o meno mescolati a popoli di altri tipi; verso ovest si estendono fino all'isola di Madagascar.

I Polinesi sono bene conformati e di bella statura. Il loro cranio ha una capacità non molto discosta da quella degli Europei, essendo calcolata in media a 1480 c. c., e quindi superiore a quella dei Papuani che per ubicazione sono i popoli a loro più vicini. L'indice cefalico è variabile, poichè, ad esempio, è di 83,5 negli abitanti delle isole di Tonga, o di 74 in quelli delle isolo Marchesi. Prognatismo assai leggero; indice nasale 49,3. Ossa malari robuste, faccia ovale. Colore della pelle variabile fra il bruno ed il giallognolo. Naso ora corto e largo, ora saliente e perfino aquilino; narici larghe. Radice del naso infossata; arcate sopraorbitali poco pronunciate. Occhi neri, bene aperti, non obliqui. Barba scarsa, meno però che nei Malesi. Capelli neri, diritti, lisci, talvolta in seguito ad incrocio cogli Europei ondulati od arricciati. Fronte alta. Tendenza alla pinguedine. I Polinesi sono sparsi sopra un largo tratto del grande Oceano equinoziale, estendendosi dall'arcipelago di Tonga all'isola della Pasqua (Rapanui) e dalla Nuova Zelanda alle isole Sandwich, ed abitano per conseguenza, oltre la Nuova Zelanda (Maori) e le isole di Sandwich (Canachi), gli arcipelaghi di Tonga, di Samoa, di Cook di Tahiti, di Paumotou o di Mendana.

I caratteri della razza  mongolica sono i seguenti: statura mezzana, nelle donne assai minore che negli uomini. Cranio brachicefalo, raramente mesaticefalo. Testa più o meno prognata, con un angolo facciale fra 68 e 70 gradi. Faccia larga, rotonda, a zigomi alti e protuberanti. Indice orbitario magasemo (di 93,8 nei Chinesi). Labbra larghe e di solito tumide. Occhio nero, piccolo, a fessura palpebrale obliqua perchè diretta in alto ed in fuori; sopracciglia sottili, nere, poco arcuate. Naso largo, schiacciato, simile a quello del Negro, ma piccolo e fino anzichè grossolano. Pelle giallognola, talvolta bruna e perfino volgente al nero. Capigliatura distesa, ruvida e nera, di lunghezza ad un dipresso eguale negli uomini o nelle donne. Barba rara e sottile, che non cresce che sulle labbra ed alla punta del mento; corpo glabro.

Questa razza occupa la massima parte dell'Asia orientale (China, Corea, Giappone, Manciuria, ecc.), il sud-est di questo continente (Tonchino, Anam, Siam, Birmania), gran tratto delle coste dell'Oceano glaciale artico, molte regioni centrali ed occidentali dell'Asia medesima (Mongolia, Turchestan, Turchia, ecc.), qualche tratto dell'Europa settentrionale (Finnlandia) ed una porzione del sud-est della stessa Europa (Ungheria, Turchia europea).

Gli Artici od Iperborei sono affini ai Mongoli, dei quali non rappresentano che una varietà modificata dalle condizioni speciali di vita. I loro caratteri sono i seguenti: Statura piuttosto piccola, determinata più dalla brevità degli arti inferiori che da quella del tronco. Capelli lisci, diritti, neri. Dolicocefalia più o meno pronunciata. Pelle di colore bruno, sovente con passaggio al bianco, al giallo o al rosso. Zigomi fortemente pronunciati, e quindi faccia larga. Bocca larga con labbra tumide; apparecchio masticatorio assai sviluppato. Occhi stretti ed obliqui. Abitano il nord-est dell'Asia e la parte più settentrionale dell'America.

Agli Artici appartengono gli Aleuti delle isole Aleuzie e della penisola di Alasca; gli Aini che abitano l'isola di Ieso, le Kourili e la parte meridionale dell'isola di Sakhalian (Tarrakai); i Ciucci o Tuschi dell'estremo nord-est del continente asiatico; e gli Eschimesi, i quali si estondono nell'estremo settentrione dell'America lungo la costa dell'Oceano glaciale dalla Groenlandia allo Stretto di Bering.

I caratteri che in generale si considerano propri della razza americana sono i seguenti: Statura superiore alla media, sebbene alcuni popoli abbiano statura molto alta, come i Patagoni, ed altri piuttosto bassa, come i Fuegiani. Pelle di colore bruno olivastro, variamente misto di bianco e di rosso, e qualche volta di colore cannella. Capelli lunghi, lisci, neri, e tanto rigidi che vengono paragonati ai crini di cavallo; barba scarsa, nera, tardiva, e soltanto al labbro superiore ed al mento; corpo quasi affatto nudo. Occhi piccoli, infossati; apertura palpebrale il più delle volto obliqua, talora però orizzontale. Razza megasema e mesorina. Arcate sopraccigliari bene sviluppate. Naso di solito prominente, perfino aquilino; narici larghe. Faccia larga, poco prognata, zigomi sporgenti; denti verticali, forti, raramente soggetti alla carie. Fronte larga, ma bassa e fuggente. Bocca grande. Sono popoli più sovente dolicocefali che brachicefali, con cranio di dietro appiattito e quasi verticale, in molte regioni artificialmente deformato. Abita l'America ad eccezione di quella parte settentrionale che è occupata dagli Iperborei.

I Nubiani si mostrano nei loro caratteri intermedi fra i Neri ed i Mediterranei, accostandosi però più a questi ultimi che a quelli, mentre i Cafri sono più affini ai Negri che alla razza caucasica. I loro caratteri sono i seguenti: Statura più sovente mediocre che alta. Colore della pelle gialla-bruno o rosso-bruno, oppure bruno a varie gradazioni fino al nero. Naso largo. Capelli neri, diritti od inanellati, mai lanosi. Labbra poco tumide o sottili. Cranio dolicocefalo. Abitano il nord-est dell'Africa sul Nilo medio e si estendono verso ovest nel Sudan centrale incuneandosi fra le stirpi negre.

I Nubiani si suddividono in due gruppi, che sono i Fulà che stanziano fra il Senegambia all'ovest ed il Bornu e Mandara all'est, il Sahara al nord e i monti della Guinea al sud; ed i Nubiani in senso stretto che abitano la valle nubiana del Nilo, il Kordofan, il Sennaar e il Dongola.

I Dravidiani sono molto affini ai Caucasici ed occupavano in tempi passati una maggiore superficie che al presente. I loro caratteri sono i seguenti: Capelli lisci ed inanellati, barba molto abbondante, fronte alta, naso sporgente e stretto, labbra alquanto tumide, colore della pelle più o meno bruno e talvolta volgente al nero od al giallo. Abitano l'India anteriore e parte di Ceylan.

La loro pelle può essere così oscura da somigliare a quella dei Neri, ai quali i Dravidiani si avvicinano anche per le labbra alquanto tumide, ma la loro pelle non manda un odore ingrato, i capelli non sono lanosi, nè la faccia è prognata. Dai Mongoli si staccano pei capelli inanellati, pel colore della pelle di solito più oscuro e pel possesso di barba lunga e fitta.

Si distinguono tre rami principali di Dravidiani, che sono i Munda dell'India settentrionale; i Dravidiani in senso stretto del Carnatic, della costa settentrionale di Madras, di quella occidentale del Dekan, di quella di Malabar fra Maugaloro e Trivanderam, dei monti Nilgiri, ecc.; ed i Singalesi dell'isola di Ceylan.

I caratteri dei Mediterranei sono i seguenti: statura variabile, in generale mediocre od alta, non piccolissima. Colore della pelle bianco-roseo, talora bruno. Capelli lunghi, sovente inanellati, mai lanosi, neri, castani o biondi (raramente rossi). Barba folta dei medesimi colori; corpo in generale piuttosto peloso, sopratutto nel sesso maschile. Fronte alta. Capacità craniana intorno ai 1500 c. c. Faccia oblunga, a zigomi poco pronunciati, con angolo facciale molto elevato e con denti piccoli e verticali. Labbra sottili e rosse; mento bene sviluppato. Occhi neri, bruni o celesti, con varie gradazioni fra questi colori; apertura palpebrale orizzontale. Naso bene rilevato, talvolta aquilino.



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